Le cinque domande per una carriera sostenibile

Viviamo nell’era dell’incertezza professionale. Abbiamo tutti imparato che cambiare è legittimo ed è anche lecito voler prosperare, non solo sopravvivere. Si cambia per evolvere, migliorare o trovare una situazione più sostenibile. Ma affinché questo avvenga è necessario prima conoscere il punto di partenza, capire a fondo la propria situazione lavorativa attuale e poi, solo a quel punto, chiedersi: «quale sarà il mio prossimo inizio?» Per scoprire dove siamo possono tornare utili cinque domande chiave da farsi costantemente nell’arco di tutta la propria carriera. L’idea è quella di chiedersi se per ragioni interne o esterne è il caso di: progredire? Va tutto bene ma può andare ancora meglio. È arrivato il momento di crescere professionalmente, avere più soddisfazioni, maggior successo o farmi promuovere? Non si tratta per forza di essere promossi o fare carriera. Il successo è un fatto personale. Potrebbe essere invece tempo di uscire? Questo team, ruolo o contesto non fa più per me, devo per forza andare altrove per valorizzare le mie competenze? Oppure adeguarmi? Devo rivedere il mio stile lavorativo, devo rielaborare i miei valori, competenze e modalità di relazione? Devo apprendere nuove tecnologie, aggiornarmi, formarmi? Sarà invece il tempo di rallentare? La situazione attuale per me non è più sostenibile. È tempo di fare downshifting, fare meno, ridurre le ore, ridurre le mansioni, prendermi una pausa di riflessione? Reinventarmi? Devo creare qualcosa di completamente nuovo, inventarmi una nuova professione o ruolo? Alcune professioni, infatti, spariscono e ne nascono di completamente nuove. A volte lo sviluppo professionale non è sufficiente: è necessario fare “innovazione professionale”. Utilizziamo costantemente il modello delle cinque domande nei nostri progetti di retention e talent development. Le abbiamo poste anche alla nostra rete di contatti, con la risposta di 2.438 persone, tramite un sondaggio sulla pagina LinkedIn di ManpowerGroup Italia (che purtroppo ne permetteva solo quattro): PROGREDIRE, avere più successo (59%); USCIRE DI QUI, non fa per me (24%); ADEGUARMI, devo cambiare stile (8%); RALLENTARE, fare downshifting (10%). I risultati non ci hanno sorpreso. Se la maggioranza ritiene che sia arrivato il momento di progredire e alcuni ritengono sia il caso di rallentare – YOLO, right? –, in pochissimi ritengono sia necessario un processo di adeguamento e sviluppo professionale. Ma il numero che desta più attenzione è sicuramente quel quarto di persone che sta pensando di lasciare, sollevando quel doloroso tema della retention e della great resignation che tanto preoccupa aziende e management. Si lamentano del proprio lavoro, dei processi, dell’overworking, dello stile di management, della violazione del work-life balance, dello stipendio. Mi sento spesso dire «Luigi vo- glio lasciare il lavoro il prima possibile, a breve mollo tutto, non ce la faccio più, questa situazione è insostenibile». Spesso lasciano il lavoro senza neanche dare il tempo all’organizzazione di tentare almeno di renderla più sostenibile. Talvolta persino trascurando contro offerte a due cifre percentuali.

SOSTENIBILITÀ DI CARRIERA

Si parla tanto di sostenibilità nel business ma per aiutare i lavoratori nelle loro scelte e favorire la retention, è forse arrivato il momento di introdurre un nuovo concetto: la “sostenibilità di carriera”. Esattamente come avviene per i modelli di business aziendali, rendere la propria carriera sostenibile significa massimizzare il rapporto tra costi e ricavi del proprio lavoro. Per farlo occorre ricordarsi di ciò che la pandemia ha insegnato un po’ a tutti: i lavoratori non hanno solo costi e ricavi tangibili, ma considerano importanti anche e soprattutto aspetti un tempo ritenuti immateriali, quasi irrilevanti. Ad esempio oltre ai costi tangibili di formazione, rappresentanza, pendolarismo e soprattutto al tempo, la risorsa più tangibile e limitata che esiste per noi esseri umani, i lavoratori considerano importanti anche aspetti quali stress, mancanza di autonomia, riconoscimento e flessibilità. È come se intervenissimo delle nuove economie personali oltre a quella strettamente monetaria e ciò a livello professionale vale anche per i relativi “ricavi”. Oltre allo stipendio, premi e incentivi infatti, i lavoratori considerano importanti anche temi quali la possibilità di esprimersi, socializzare il prestigio e la possibilità di contribuire alla società.

PROGETTARE UNA CARRIERA PIÙ SOSTENIBILE

Una volta scoperto e valutato il proprio punto di partenza è arrivato il momento di progettare il prossimo passo affinché sia più sostenibile. Non per forza per andarsene, mollare, cambiare: magari anche per rimanere, capitalizzare, rivedendo alcuni aspetti del proprio modello di lavoro e magari andare proprio nella direzione della prima domanda: è il tempo di progredire? La psicologia del lavoro ci insegna che tutto parte da aspetti quali i propri valori, personalità, competenze o interessi. Corretto ma non più sufficiente. La complessità del mercato del lavoro odierno ci obbliga a considerare anche aspetti più strategici, quali la rilevanza e la credibilità: ci deve essere necessariamente un buon fit. L’unico paradigma che mette insieme la propria identità professionale con il mercato e con la sostenibilità dei costi e ricavi materiali e immateriali è il Work Modeling. Un parallelismo voluto con il concetto di business modelling, tanto caro al mondo della strategia e l’innovazione. Se le aziende di successo coltivano e fanno evolvere il loro modello di business sostenibile, i lavoratori di successo coltivano e fanno evolvere un modello di lavoro sostenibile.

È proprio con questo scopo che Tim Clark ha introdotto nella nuova edizione di Business Model You (uscirà in Italia alla fine del 2023) il Work Model Canvas, lo strumento in una pagina per progettare il proprio lavoro. Del resto il concetto di lavoro oggi è cambiato radicalmente. Non può essere semplicemente descritto in termini di ore in ufficio in cambio di uno stipendio. Il lavoro è molto di più, nel Work Model Canvas vi sono ben 9 aspetti che ci possono supportare nel farlo e renderlo sostenibile. Il punto di partenza è capire lo stato attuale del proprio lavoro identificando i punti di attenzione, gli elementi che generano costi eccessivi, soprattutto quelli intangibili quali stress, mancanza di stimoli, relazioni inefficienti o supporto inadeguato. Successivamente si potranno progettare i giusti correttivi, meglio se in maniera condivisa, tramite una conversazione strutturata e trasparente con il proprio management: c’è sempre un modo alternativo per ottenere il bilanciamento desiderato tra costi e ricavi personali e continuare a produrre valore per la propria organizzazione. Il nuovo compito delle Risorse Umane è forse quello di diventare facilitatori e garanti di queste conversazioni?

*Nell’immagine in evidenza l’illustrazione di Domenico Carnimeo per il nuovo numero di LINC

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