Come ogni anno per l’8 marzo, la Giornata Internazionale per i diritti delle donne, molte aziende e istituzioni si mobilitano per comunicare l’urgenza di cambiare modelli, includere più donne nella leadership, l’importanza della diversità di genere per una migliore performance economica etc.
Tavole rotonde, convegni e webinar spesso si riducono a una comunicazione di buoni intenti, ma che non incide fondamentalmente sui cambiamenti strutturali e sociali necessari per un’inclusione che rifletta la presenza delle donne nella società. I dati raccontano una storia paradossale per quanto riguarda l’Italia, con da un lato la più alta percentuale di donne nei consigli di amministrazione e uno dei più bassi tassi di occupazione femminile. La percentuale di donne nella forza lavoro varia tra i paesi europei: nel 2020 per le donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni era del 67,3% nell’UE-27, mentre il tasso degli uomini era del 78,6%. In Italia, che è la terza economia dell’eurozona, nel 2020 il tasso di occupazione delle donne è stato del 57,2% (67,8% per gli uomini).
Allo stesso tempo l’Italia gode di una delle più alte percentuali di donne nei consigli di amministrazione: più del 40%, secondo uno studio condotto quest’anno dall’Istituto Francese degli Amministratori in collaborazione con Ethics&Boards, terza dopo Francia (46%), Olanda e Regno Unito, al quarto posto. L’Italia è stato uno dei primi paesi a introdurre le quote rosa (legge Golfo-Mosca del 2011), una policy molto dibattuta, e un dato che indica che si stanno compiendo progressi verso una maggiore diversità di genere nelle posizioni di leadership nelle aziende italiane. Tuttavia la percentuale di donne nei comitati esecutivi è ancora inferiore, al 29,3%.
La bassa percentuale di donne nella forza lavoro e leadership italiana si spiega con ragioni fondamentalmente culturali e sistemiche. Uno dei fattori principali sono le norme culturali e sociali che promuovono ancora i tradizionali ruoli di genere. Spesso ci si aspetta che le donne diano la priorità ai doveri familiari rispetto alla carriera, il che rende difficile per loro entrare o progredire nel mondo del lavoro. Inoltre, mancano drammaticamente politiche e infrastrutture adeguate e in linea con la media europea, per sostenere le madri che lavorano, e implicare i padri fin dal primo giorno. Per esempio, i paesi con un alto indice di gender equality godono di un congedo di paternità adeguato e usufruito. In Italia si limita invece a 10 giorni, con solo il 22,3% dei padri che ne usufruiscono, secondo le stime per il 2020. In Olanda i giovani papà hanno diritto a 5 settimane di congedo, 8 in Spagna e 12 in Slovenia e Svezia. Mancano inoltre servizi di assistenza all’infanzia a prezzi accessibili e modalità di lavoro flessibili.
Il divario retributivo di genere, ovvero la differenza tra la retribuzione oraria media di uomini e donne, è un indicatore cruciale della disuguaglianza di genere sul posto di lavoro. Nell’UE-27 nel 2021 il divario era del 14,1%, il che significa che le donne guadagnano in media il 14,1% in meno rispetto agli uomini. L’Italia ha uno dei più alti divari retributivi di genere in Europa, con le donne che guadagnano il 16,2% in meno degli uomini. In Italia le donne, malgrado siano la maggioranza a laurearsi (60%) sono spesso concentrate in settori a basso reddito e precari, come la sanità e l’istruzione. È anche più probabile che abbiano lavori part-time, che generalmente pagano meno delle posizioni a tempo pieno (con conseguenze a lungo termine per la pensione). Inoltre, vi è una mancanza di trasparenza nelle tabelle salariali, il che rende difficile per le donne negoziare i propri stipendi e sostenere la parità retributiva.
Il fattore più importante rimane culturale: in assenza di un robusto dibattito politico e mediatico sui cambiamenti necessari (pensiamo alla Francia dove il presidente Macron ha fatto invece della parità di genere uno dei pilastri del suo quinquennato), le donne, malgrado aver investito a titolo personale nel proprio sviluppo professionale, aver appreso nuove skill e aver osato chiedere aumento e promozioni, rimangono largamente sottorappresentate nelle posizioni di leadership, malgrado un graduale riconoscimento effettivo delle qualità della leadership femminile, più umana e empatica, qualità preziose soprattutto in tempo di instabilità e crisi. Lo studio Women in the Workplace Report 2022 di Mckinsey con la fondazione Lean In ha suonato il campanello d’allarme, indicando come il 10.5% delle donne in posizioni di leadership abbia lasciato volontariamente i propri ruoli per migliorare posizione, citando mancanza di rispetto e opportunità di progressione, microaggressioni e lacune nei manager per creare culture inclusive. In Italia ricordiamo che le donne sono state il 99% delle persone che hanno perso il lavoro durante la pandemia, circa 100 mila.
Un meme su LinkedIn circola dichiarando: «Ci si aspetta che le donne lavorino come se non avessero una famiglia, e che i genitori svolgano il loro ruolo come se non avessero un lavoro». Le aziende e le organizzazioni hanno i mezzi, il potere e la responsabilità per far progredire la società e promuovere un impatto sociale positivo. L’uguaglianza di genere è la premessa imperativa del XXI secolo, per un futuro sostenibile e mirato, e ci sono sufficienti esperienze, buone pratiche e dati a livello globale che indicano passi chiari e concreti che possono essere compiuti per raggiungere non solo un “50:50”, ma un equilibrio armonioso.
Un modello strategico in 12 capitoli
Nelle mie attività di consulenza con aziende di diversi settori a livello globale nel corso degli anni ho identificato il seguente framework, articolato in 12 capitoli che qualsiasi organizzazione di qualsiasi dimensione può implementare per raggiungere una vera parità di genere. La cosa più importante è renderlo un obiettivo strategico di lungo termine e non solo una discussione l’8 marzo.
1. I leader devono prendere coscienza autenticamente dello status quo
La maggior parte dei leader comprende intellettualmente il valore e l’importanza dell’uguaglianza di genere, ma tende poi a delegarne la responsabilità a un dirigente delle risorse umane o a un responsabile della diversità con pochissime risorse e autorità, e trattandolo come un elemento da includere nel rapporti di responsabilità sociale d’impresa (RSI). Il rischio è che non avvenga un vero cambiamento e che i talenti femminili demissionino per frustrazione. Invece, è imperativo che i leader si interroghino sul perché l’uguaglianza di genere è importante per loro a livello personale, qual è il loro rapporto con le donne nelle loro sfere personali e professionali, e fino a che punto sono consapevoli dei propri pregiudizi personali. Solo da un’acuta consapevolezza di sé possono guidare e indirizzare l’organizzazione verso una vera e propria cultura dell’uguaglianza e dell’inclusione. Il programma di strategia di inclusione di Netflix porta ogni leader su un percorso che dedica molto tempo a questa presa di coscienza, in primis individuale.
2. Si inizia con i dati
Ogni iniziativa sulla parità di genere inizia con la raccolta e l’analisi dei dati sulla forza lavoro disaggregati per genere, per comprendere il quadro completo. Solo così è possibile valutare e formulare una diagnosi specifica. I dati quantitativi, corroborati dalle informazioni qualitative derivanti da focus group, identificheranno aree di intervento e riveleranno idee concrete per soluzioni. Un piano con obiettivi, metriche e scadenze sarà più facile da realizzare e comunicare, se supportato da dati. Il famoso guru del management Peter Drucker disse: «Quello che non puoi misurare, non puoi gestirlo».
3. Si assegna la responsabilità
Oltre al pieno coinvolgimento e supporto dei massimi livelli di dirigenza, il ruolo di Chief Diversity o Chief Equality Officer sta diventando sempre più comune. Queste sono nuove professionalità e sono le custodi di strategie che sviluppano e permettono culture inclusive. Idealmente devono essere pienamente autorizzati a “parlare francamente al potere”, rapportando direttamente al vertice e sedendo nel comitato esecutivo. Tuttavia, all’atto pratico, deve essere chiaro che l’inclusione é una responsabilità condivisa di ogni singolo.a collaboratore.trice in ogni interazione quotidiana.
4. Si coinvolgono tutti: uomini e donne
I programmi per la parità di genere tendono a concentrarsi sull’emancipazione e sull’empowerment delle donne. Tuttavia, il progresso verso l’uguaglianza di genere non si realizzerà senza il pieno sostegno, il cambiamento culturale e l’impegno degli uomini. È assolutamente essenziale creare consapevolezza tra gli uomini oltre che tra le donne – in modo che tutti comprendano il ruolo essenziale che devono svolgere nel cambiare le mentalità ed evolvere verso una società equilibrata. Per esempio, introdurre programmi di allyship (alleanza), che invitino uomini e donne a intervenire per inibire comportamenti tossici e favorire l’esperienza delle donne.
5. Concentrarsi sulle politiche: rivedere le assunzioni e le promozioni
Le politiche forniscono l’intento e la struttura per il cambiamento organizzativo. Processi di assunzione e promozione trasparenti e inclusivi possono far sì che più donne postulino e accelerino la parità di genere sul posto di lavoro. Dalle descrizioni delle mansioni neutre rispetto al genere fino alla ricerca di canali di reclutamento alternativi, passando per le quote e la mappatura della carriera per le lavoratrici sono esempi di tattiche di successo.
6. Sviluppare la leadership
Per raggiungere l’uguaglianza di genere le organizzazioni devono assumere intenzionalmente più donne o uomini nei dipartimenti e nei team sottorappresentati. Hanno tuttavia anche bisogno di capitalizzare e sviluppare i talenti interni esistenti, creando pipeline di leadership, investendo in formazione e aggiornamento, fissando quote, assumendo o promuovendo la candidata donna, a parità di competenze tra i candidati/e. I programmi di mentoring e role modeling si rivelano anche efficienti. Secondo quanto emerso nell’evento Women in the Post Pandemic World of Work, che ha visto la partecipazione in qualità di speaker, tra gli altri, di Becky Frankievicz, Chief Commercial Officer & President per il Nord America di ManpowerGroup, tenutosi in occasione del World Economic Forum di Davos quest’anno, solo il 30% delle donne ha ricevuto una formazione, contro il 40% degli uomini. Un percorso di carriera è stato offerto al 19% delle donne, contro un 23% maschile. Il 9% delle lavoratrici è iscritto a associazioni di carriera, una percentuale che sale al 14% per la controparte maschile.
7. Focus sulla cultura: il valore dell’inclusione
La cultura preesistente di un’azienda a volte può ostacolare il passaggio verso un cambiamento desiderabile. La strategia e la politica non sono sufficienti per guidare il cambiamento, a meno che non siano supportate da una nuova cultura organizzativa inclusiva, dove le donne siano presenti a tutti i livelli, ascoltate e rispettate. L’uguaglianza esiste solo quando c’è coerenza tra le politiche e la visione dichiarata dalla leadership e le esperienze quotidiane delle donne. Si tratta di umanizzare il lavoro e per i.le manager di comprendere la necessità di preservare la salute mentale, soprattutto nel periodo post pandemico. Guardando ai dati emersi nel panel precedentemente nominato, si scopre che l’80% delle donne vorrebbe leader più empatici, che il proprio manager le comprendesse e conoscesse meglio, dal carico di lavoro alle sfide dell’essere contemporaneamente genitore e professionista; 1 donna su 3 vorrebbe che il proprio manager comprendesse meglio l’impatto del carico di lavoro sulla propria salute mentale, contro il 25% degli uomini; il 14% delle lavoratrici femminili ritiene che il benessere emotivo – compresi i servizi di consulenza, le giornate e l’indennità di benessere – sia uno dei 3 principali benefici, più importante della flessibilità della sede di lavoro o del bonus di ingresso, contro il 10% degli uomini.
8. Equilibrio e flessibilità tra lavoro e vita privata
La pandemia ha accelerato l’implementazione da parte delle organizzazioni di queste importanti dimensioni. In futuro, coloro che saranno in grado di fornire la massima ampiezza di flessibilità ai dipendenti, soprattutto alle donne, potranno trattenere i migliori e diversi talenti. Attualmente si sperimentano numerosi modelli ibridi che combinano flessibilità e presenza. È importante prendere atto che diverse modalità soddisferanno diversi gruppi, a secondo delle loro esigenze. Il panel menzionato in precedenza indica infatti che l’80% delle donne desidera un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata – la maggior parte afferma che la cosa più importante è poter scegliere di svolgere il proprio lavoro in un orario che vada bene per loro.
9. Si affrontano gli stereotipi, il sessismo e le molestie
Diversi studi indicano il danno alla carriera delle donne a causa di doppi standard, pregiudizi e spesso comportamenti tossici da parte di colleghi e manager maschi. Creare consapevolezza sui temi, definire politiche e conseguenze chiare, indicando i processi per la segnalazione degli incidenti e il follow-up con indagini e azioni disciplinari sono elementi indispensabili per creare parità di condizioni per le donne. La formazione della direzione e del personale su pregiudizi e stereotipi inconsci è un investimento minimo, ma da solo non inciderà sui comportamenti.
10. Si contrasta l’ageismo e si parla di menopausa
Quasi tutte le collaboratrici eventualmente vivranno la menopausa, con potenziali significative conseguenze sulla loro salute fisica e mentale. È importante demistificare questa fase della vita e introdurre politiche che permettano a manager e collaboratrici di parlarne serenamente e trovare le soluzioni necessarie. Il broadcaster Channel 4 è stata la prima azienda a introdurre una Politica per la Menopausa nel 2018 e da allora numerose aziende hanno seguito l’esempio, facilitando e normalizzando l’argomento. L’ageismo di genere è doppiamente discriminante poiché alla componente dell’età anagrafica si somma la discriminazione legata al genere. Così, ai pregiudizi dovuti all’essere donna si aggiungono quelli dovuti all’età e all’invecchiamento. Si combatte analizzando gli stereotipi che fanno considerare i collaboratori.trici 50+ come irrilevanti, e valorizzando intenzionalmente la loro esperienza, seniority e desiderio di continuare a contribuire, ma anche a imparare.
11. Si lavora a colmare il divario retributivo di genere e garantire la parità retributiva
Forse la dimensione più incisiva sulla carriera delle donne, il divario retributivo è ancora reale. I dati raccolti a Davos indicano come il 50% delle donne ha dichiarato che lascerebbe la propria attuale organizzazione per una retribuzione e dei benefit più elevati; il 30% per un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata. Alcune organizzazioni trovano più efficiente e obiettivo affidarsi a revisori esterni: la certificazione è un processo che consente alle aziende di verificare e comunicare che pagano i loro dipendenti, donne e uomini, in egual misura per la stessa mansione o per mansioni di pari valore.
12. Si misurano regolarmente i progressi
L’uguaglianza di genere è un percorso a lungo termine. Il lavoro non è mai finito e richiede un impegno continuativo. La regolarità della misurazione, l’analisi e la condivisione delle metriche sono aspetti fondamentali per alimentare i cicli necessari e mantenere allineamento e motivazione tra tutte le parti.
***Eng version
Like every year on 8 March, International Women’s Rights Day, many companies and institutions mobilise to communicate the urgency of changing models, allowing the inclusion of more women in leadership, the importance of gender diversity for better economic performance, and so forth. Round tables, conferences and webinars often boil down to communication of good intentions, but do not fundamentally affect the structural and social changes needed for inclusion that reflects women’s presence in society. The data tell a paradoxical story as far as Italy is concerned, with, on the one hand, the highest percentage of women on boards of directors and, on the other, one of Europe’s lowest female employment rates. The proportion of women in the labour force varies among European countries: in 2020 for women aged 20-64 it was 67.3% in the EU-27, while the rate for men was 78.6%. In Italy, which is the third largest economy in the Eurozone, the employment rate for women in 2020 was 57.2% (67.8% for men).
At the same time, Italy enjoys one of the highest percentages of women on boards of directors: more than 40%, according to a study conducted this year by the French Institute of Administrators in collaboration with Ethics&Boards, third after France (46%) and the Netherlands. Italy was one of the first countries to introduce women’s quotas (2011 Golfo-Mosca law), a much-debated policy, but one that yelded the progress made towards greater gender diversity in leadership positions in Italian companies. However, the percentage of women on executive committees is still lower, at 29.3%.
The low percentage of women in the Italian workforce and leadership is explained by fundamentally cultural and systemic reasons. One of the main factors are cultural and social norms that still promote traditional gender roles. Women are often expected to prioritise family duties over their careers, which makes it difficult for them to enter or progress in the business world. Moreover, there is a dramatic lack of adequate policies and infrastructure, in line with the European average, to support working mothers and involve fathers from day one. For example, countries with a high gender equality index enjoy adequate and utilised paternity leave. In Italy, however, it is limited to 10 days, with only 22.3% of fathers making use of it in 2020. In the Netherlands, young fathers are entitled to 5 weeks of leave, 8 in Spain and 12 in Slovenia and Sweden. There is also a lack of affordable childcare and flexible working arrangements.
The gender pay gap, i.e., the difference between the average hourly wage of men and women, is a crucial indicator of gender inequality in the workplace. In the EU-27 in 2021, the gap was 14.1%, which means that women earn on average 14.1% less than men. Italy has one of the highest gender pay gaps in Europe, with women earning 16.2% less than men. In Italy, women, despite being the majority to graduate (60%), are often concentrated in low-income and precarious sectors, such as health and education. They are also more likely to have part-time jobs, which generally pay less than full-time positions (with long-term consequences for retirement). In addition, there is a lack of transparency in pay scales, which makes it difficult for women to negotiate their salaries and support equal pay.
The most important factor remains a cultural one: in the absence of a robust political and media debate on the necessary changes (think of France, where President Macron has instead made gender equality one of the pillars of his five-year term), women, despite having invested personally in their own professional development, learning new skills and daring to ask for raises and promotions, remain largely under-represented in leadership positions, despite a gradual effective recognition of the additional qualities of female leadership, more human and empathetic, qualities that are invaluable especially in times of instability and crisis. Mckinsey’s Women in the Workplace Report 2022 study with the Lean In foundation rang some alarm bells, indicating that 10.5% of women in leadership positions voluntarily left their roles to improve their position, citing lack of respect and opportunities for progression, microaggressions and deficits in managers in creating inclusive cultures. In Italy, women accounted for 98% of those who lost their jobs during the pandemic, about 100,000.
A meme on LinkedIn circulates stating: “Women are expected to work as if they did not have a family, and parents are expected to fulfil their role as if they did not have a job”. Companies and organisations have the means, power and responsibility to advance society and promote positive social impact. Gender equality is the imperative premise of the 21st century, for a sustainable and purposeful future, and there are enough experiences, best practices and data at the global level that indicate clear and concrete steps that can be taken to achieve not just a “50:50” balance, but a harmonious one.
A 12-step framework
In my consultancy work over the years with companies from different sectors globally, I have identified the following 12-chapter framework that any organisation of any size can implement to achieve true gender equality. The most important thing is to make it a long-term strategic goal and not just a discussion on 8 March.
1. Leaders must become genuinely aware of the status quo
Most leaders intellectually understand the value and importance of gender equality, but then tend to delegate responsibility for it to a human resources or to a diversity manager with very little resources and authority, and treat it as something to be included in corporate social responsibility (CSR) reports. The risk is that real change will not take place and that female talent will resign out of frustration. Instead, it is imperative that leaders ask themselves why gender equality is important to them on a personal level, how they relate to women in their personal and professional spheres, and to what extent they are aware of their personal prejudices. Only through acute self-awareness can they guide and direct the organisation towards a true culture of equality and inclusion. Netflix‘s inclusion strategy programme, for instance, takes each leader on a path that devotes a lot of time to this awareness, on an individual basis.
2. It starts with data
Every gender equality initiative starts with the collection and analysis of workforce data disaggregated by gender, to understand the big picture. Only then is it possible to assess and make a specific diagnosis. Quantitative data, corroborated by qualitative information from focus groups, will identify areas for action and reveal concrete ideas for solutions. A plan with targets, metrics and deadlines will be easier to implement and communicate if supported by data. As management guru Peter Drucker said: “What you can’t measure, you can’t manage”.
3. Responsibility is assigned
In addition to the full involvement and support of top management, the role of Chief Diversity or Chief Equality Officer is becoming increasingly common. These are new professions and they are the custodians of strategies that develop and enable inclusive cultures. Ideally, they should be fully encouraged to “speak truth to power”, reporting directly to the top and sitting on the executive committee. However, in practice, it must be clear that inclusion is a shared responsibility of each individual collaborator in everyday interaction.
4. Everyone is involved: men and women
Gender equality programmes tend to focus on the emancipation and empowerment of women. However, progress towards gender equality will not be achieved without the full support, cultural change and commitment of men. It is absolutely essential to create awareness among men as well as women – so that everyone understands the essential role they have to play in changing mentalities and evolving towards a balanced society. For example, by introducing allyship programmes, which invite men and women to take action to inhibit toxic behaviour and foster women’s experience.
5. Focus on policies: reviewing recruitment and promotions
Policies provide the intent and structure for organisational change. Transparent and inclusive recruitment and promotion processes can make more women advance as well as accelerate gender equality in the workplace. From gender-neutral job descriptions to finding alternative recruitment channels via quotas and career mapping for female workers; these are only some examples of successful tactics.
6. Developing leadership
To achieve gender equality, organisations must intentionally hire more women or men in under-represented departments and teams. However, they also need to capitalise on and develop existing in-house talent, creating leadership pipelines, investing in training and refreshing skills, setting quotas, hiring or promoting female candidates with equal skills among all candidates. Mentoring and role modelling programmes also prove to be efficient. According to the findings of the Women in the Post Pandemic World of Work event, which featured Becky Frankievicz, Chief Commercial Officer & President for North America of ManpowerGroup, among others, as a speaker, held at the World Economic Forum in Davos this year, only 30% of women have received training, compared to 40% of men. A career path was offered to 19% of women, compared to 23% of men. 9% of female workers are members of career associations, a percentage that rises to 14% for their male counterparts.
7. Focus on culture: the value of inclusion
The pre-existing culture of a company can sometimes hinder the transition to a desirable change. Strategy and policy are not enough to drive change unless they are supported by a new inclusive organisational culture, where women are visible at all levels, listened to and respected. Equality only exists when there is consistency between the policies and vision declared by the leadership and the daily experiences of women. It is about humanising work and requires managers to understand the need to promote well-being and preserve mental health, especially in the post-pandemic period. Looking at the data from the previously-mentioned panel, we find that 80% of women would like more empathetic leaders, for their manager to understand and get to know them better, from the workload to the challenges of being a parent and professional at the same time; 1 in 3 women would like their manager to better understand the impact of the workload on their mental health, compared to 25% of men; 14% of female workers believe that emotional well-being – including counselling services, days out and well-being allowance – is one of the top 3 benefits, more important than work location flexibility or a sign-on bonus, compared to 10% of men.
8. Work-life balance and flexibility
The pandemic has accelerated the implementation by organisations of these important dimensions. In the future, those who are able to provide the maximum amount of flexibility to employees, especially women, will be able to retain the best and most diverse talent. Numerous hybrid models combining work from home/remote and presence are currently being experimented with. It is important to realise that different modes will satisfy different groups, depending on their needs. In fact, the panel mentioned above indicates that 80% of women want a better work-life balance – most say that the most important thing is to be able to choose to do their work at a time that suits them.
9. Stereotypes, sexism and harassment are addressed
Several studies indicate the damage to women’s careers due to double standards, prejudice and often toxic behaviour by male colleagues and managers. Creating awareness on the issues, defining clear policies and consequences, indicating processes for reporting incidents and a follow-up with investigations and disciplinary actions are indispensable for creating a level playing field for women. Training of the management and personnel on unconscious biases and stereotypes is a minimal investment, but by itself, will not affect behaviour.
10. Fighting ageism and talking about menopause
Almost all female employees will eventually experience menopause, with potentially significant consequences on their physical and mental health. It is important to demystify this phase of life and introduce policies that allow managers and employees to talk about it openly and find the necessary solutions. The UK broadcaster Channel 4 was the first company to introduce a Menopause Policy in 2018 and since then, numerous companies have followed suit, facilitating and normalising the topic. Gender ageism is doubly discriminating: prejudices due to age and ageism are added to those due to being a woman. It can be fought by analysing the stereotypes that make 50+ employees be seen as irrelevant, and by intentionally valuing their experience, seniority and desire to continue to contribute, but also to learn.
11.Working to close the gender pay gap and ensure equal pay
Perhaps the most impactful dimension on women’s careers, the pay gap is still real. Data collected at Davos indicate that 50% of women said they would leave their current organisation for higher pay and benefits; 30% for a better work-life balance. Some organisations find it more efficient and objective to rely on external auditors: certification is a process that allows companies to verify and communicate that they pay their employees, women and men, equally for the same or equally valuable tasks.
12. Progress is measured regularly
Gender equality is a long-term journey. The work is never finished and requires ongoing commitment. Regularity of measurement, analysis and sharing of metrics and progress are key aspects for feeding the necessary cycles and maintaining alignment and motivation among all parties.