Partiamo entrando in medias res, sfatando alcuni miti che sono all’origine della volontà di dedicare alla questione generazionale un nuovo libro – La staffetta, il ricambio generazionale nelle imprese italiane, edito da LUISS University Press – e un nuovo progetto con i giovani imprenditori di Confindustria.
L’impresa non esaurisce i suoi effetti con i servizi che offre e con il profitto che ne trae: essa, e tutti i fenomeni che la riguardano, hanno un valore sociale. Che impatta cioè su tutti, a partire dagli aspetti più immediati e visibili: dal valore degli stipendi dei lavoratori, a quello dei consumi.
Alla base di questa pubblicazione e di ogni iniziativa che in tempi rapidi già ne è conseguita, c’è la volontà di rendere chiaro – perché misurabile e misurato – il contributo del fenomeno del ricambio generazionale nelle imprese italiane. Non solo per l’intero sistema economico, ma anche per quello sociale. Dal welfare alle declinazioni della sostenibilità, c’è un modo per valorizzare il contributo delle nuove generazioni allo sviluppo, non solo delle loro imprese, ma di tutti: rendere questo contributo tangibile, effettivo.
È quello che con i giovani di Confindustria ho voluto fare fornendo dati, analisi e proposte, sino alle migliori e più varie evidenze, che rendano merito al peso di questo fenomeno nei giorni nostri: è il ruolo delle storie di giovani imprenditori che rappresentano le generazioni protagoniste della “staffetta” nelle loro imprese. Interviste a chi si confronta – da Nord a Sud, nei settori più svariati – con il “passaggio di mano”, tramite le soluzioni e gli strumenti più diversi tra loro, tutti però accomunati dalla finalità di ottimizzare ogni risorsa, economica e umana, in questo processo di transizione così delicato. Di cui proprio queste storie rivelano l’enorme potenziale.
Arriviamo così a un altro mito, quello del passaggio come sostituzione. Mentre, in realtà, il passaggio è per breve o lungo tempo, coesistenza generazionale. Generazioni d’imprenditori che collaborano e si confrontano – talvolta sino allo scontro – per assicurare il miglior futuro possibile alle energie rappresentate dalle loro imprese. Con risultati anche inaspettati: uno dei più noti e clamorosi è il cosiddetto “scambio di ruoli“, con nuove generazioni di imprenditori più prudenti rispetto alla “vecchia guardia” che, viste le redini aziendali in mani sicure, offre la migliore versione delle proprie qualità imprenditoriali. Quelle che difatti hanno dato origine alla creatura economica, oggi gestita con le giovani leve.
Per capire come si affronta uno degli snodi socio-economici cruciali del fenomeno, faccio quindi riferimento a un estratto del volume.
«Età, criticità e sfide per l’ “impresa” delle nuove generazioni
Il tema del passaggio generazionale ha un’importanza strategica per la conservazione e il futuro del patrimonio industriale italiano. L’esigenza di un passaggio efficiente e rapido è garanzia della più volte richiamata competitività rispetto ai temi incalzanti della sostenibilità: è ormai noto come le nuove generazioni possano rappresentare una garanzia in termini di sviluppo. Aspen Institute Italia, con elaborazioni basate su uno studio di Intesa Sanpaolo, offre in materia uno degli ultimi quadri d’insieme approfonditi e completi, che conferma questa necessità. Interessanti le indicazioni che fornisce sui dati anagrafici dei capi-azienda di un ampio campione di imprese manifatturiere, che evidenzia un certo grado di immobilismo nel caso italiano, dove è aumentata notevolmente, da 53 a 60 anni, l’età media di chi è al comando dell’azienda nell’ultimo decennio. Circa il 30% dei capi-azienda ha più di 65 anni e poco meno del 15% un’età compresa tra i 61 e i 65. Un ulteriore fattore di criticità si riscontra quando l’intero board è composto da ultrasessantacinquenni: si trovano in questa situazione il 12% delle imprese analizzate. Al fenomeno sono più interessate le imprese di minori dimensioni (quasi il 13% delle micro-imprese, a fronte di una percentuale che scende al 5,5 per le grandi imprese), quelle di più antica costituzione (il 17% delle imprese storiche, fondate prima del 1980) e localizzate nel Centro-Sud (con punte del 15% nel Mezzogiorno, mentre nel Nord-Est sono meno del 10).
Nel caso dell’impresa familiare, un aspetto importante dell’analisi riguarda la forma di passaggio generazionale più diffusa in Italia, che vede il mantenimento di proprietà e amministrazione in capo alla famiglia imprenditrice, con il fenomeno della managerializzazione più diffuso tra le imprese del Nord-Est, con margini di miglioramento invece nel Mezzogiorno. Sul tema tanto discusso delle quote giovani nei consigli di amministrazione, lo studio rileva che favorire l’ingresso di nuove generazioni nel board aziendale può rappresentare stimoli positivi su più fronti:
Per incentivare il fenomeno è necessario migliorare condizioni di contesto, ma anche proporre iniziative ad hoc: si pensi all’ingresso temporaneo di figure terze (manager o professionisti), percorsi di formazione mirati per capi-azienda e nuove generazioni o strumenti finanziari mirati. Proprio Intesa Sanpaolo si è resa protagonista di recenti iniziative che vanno nella direzione dell’attenzione al personale e al ricambio basato su nuove visioni e competenza. Da un lato ci sono i 500 euro in più nella busta paga a ben 82.000 dipendenti per combattere il carovita dovuto alla congiuntura economica. Dall’altro, l’assunzione di ben 2000 nuovi professionisti del digitale, dunque “di nuova generazione“, per una realtà al passo con i tempi, con le esigenze degli utenti. E, ancora una volta, dell’impresa (…).
La premessa è che ci siano le condizioni rispetto all’adeguatezza dei profili, ma subito dopo c’è la situazione del mercato a determinare le scelte di chi guida l’impresa. Lo diciamo oggi, ascoltando proprio chi fa impresa e continua a sottolineare le difficoltà quotidiane, che notiamo essere ataviche e in cerca di soluzioni: dal famoso costo del lavoro, al cuneo fiscale, all’annoso tema della burocrazia, sono chiari i punti su cui l’impresa necessita di supporto. O meglio, necessita della rimozione di ostacoli che si frappongono, ancora troppo spesso, tra essa e uno sviluppo non “zavorrato“».