I lavoratori italiani sono tra quelli maggiormente impegnati. Secondo i dati pubblicati da Eurostat lo scorso primo maggio, sono due milioni, infatti, gli occupati della penisola che lavorano all’incirca 50 ore alla settimana (con una media di 9,4 al giorno) – dieci in più della consuete 40. Questa stima riguarda più da vicino i lavoratori autonomi rispetto ai dipendenti e si accompagna ad altre statistiche più note sull’attuale panorama lavorativo nazionale, che evidenziano, per esempio, il fatto che l’Italia sia l’unico paese del G7 il cui livello degli stipendi non sia aumentato negli ultimi anni: al contrario, il salario medio in termini reali è diminuito di quasi dodici punti percentuali dal 1993.
Queste informazioni si sommano a ulteriori studi e ricerche che sottolineano come i desideri e le aspirazioni dei lavoratori di oggi stiano cambiando, in maniera anche piuttosto radicale. Benessere fisico e mentale, possibilità di integrare adeguatamente vita privata e lavorativa, e flessibilità sono le richieste avanzate dalla maggioranza del personale occupato in questo momento, non solo in Italia, ma anche all’estero. L’organizzazione del lavoro in Europa ha risposto a queste richieste in più di un’occasione, sperimentando il modello della cosiddetta “settimana lavorativa corta”, accompagnata dal principio generale “lavorare meno, lavorare meglio”. Diversi sono gli esperimenti portati avanti in vari stati europei. Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, nel Regno Unito, 61 aziende e quasi tremila dipendenti hanno provato una particolare organizzazione della settimana lavorativa, la cosiddetta 100:80:100: 100% dello stipendio, 80% delle ore previste, con l’obiettivo di mantenere il 100% della produttività. I risultati sono stati incoraggianti, i lavoratori hanno dichiarato di aver sperimentato meno stress e i livelli di burnout si sono ridotti di quasi il 70%, avendo avuto l’occasione di conciliare in maniera personalizzata lavoro e vita privata. L’esperimento ha fatto registrare benefici non solo per i dipendenti, ma anche per le aziende: la produttività non è, infatti, mai calata, e le dimissioni sono diminuite (il 57%), con numerosi vantaggi in termini economici. Il programma è stato di tale successo che il 90% delle aziende manterrà questo modello organizzativo. Il taglio delle ore di lavoro è nell’agenda di molti governi, tra cui la Spagna: nell’aprile del 2023 il governo guidato da Pedro Sanchez ha assegnato 9,6 milioni di euro per le imprese che intendono prevedere un taglio dell’orario di lavoro a parità di salario.
Gli esempi italiani
I primi a parlare di settimana lavorativa corta in Italia sono stati i sindacati: il segretario della CGIL Maurizio Landini, in un’intervista, ha dichiarato che anche la penisola dovrebbe adottare questo modello organizzativo. La controparte industriale non ha rigettato la proposta: il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha infatti aperto alla discussione, dichiarando di essere disposto a ragionare sul tentativo, «in maniera non ideologica, o vanno in crisi l’occupabilità e l’occupazione in Italia». Anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, non ha escluso il progetto, sottolineando però dei possibili ostacoli: considerando l’attuale panorama industriale italiano, le imprese che potrebbero adottare questo tipo di organizzazione sono localizzate soprattutto al Nord. Ciò potrebbe provocare una forte migrazione interna, che andrebbe ad aumentare ulteriormente l’esistente squilibrio tra Meridione e Settentrione.
In attesa di un’iniziativa istituzionale, alcune aziende hanno già avviato delle sperimentazioni autonome: Intesa Sanpaolo e Lavazza.
La banca ha, infatti, concluso da poco un accordo con le sigle sindacali sul nuovo modello organizzativo, proposto per la prima volta lo scorso gennaio, e che prevede l’introduzione di misure innovative in tema di lavoro flessibile, ma soprattutto di settimana corta. In particolare, tutte le strutture di governance e i dipendenti di 40 filiali di grandi dimensioni del gruppo, divisione Banca dei Territori, potranno scegliere di lavorare 4 giorni alla settimana, per 9 ore al giorno, a parità di retribuzione, con una riduzione di orario da 37,5 a 36 ore. L’applicabilità della misura sarà estesa a tutto il personale di oltre 250 filiali di piccole dimensioni a partire dal 1° novembre, su base volontaria, nei giorni di martedì, mercoledì o giovedì nel turno di chiusura. A ciò si aggiungono incentivi sulla flessibilità oraria e sul lavoro da remoto. Nel periodo di tempo compreso tra l’introduzione del modello e la sottoscrizione del recente patto con la controparte sindacale, ha aderito all’iniziativa della settimana corta circa il 60% del personale impiegato a tempo pieno nelle strutture di governance e in 12 grandi filiali – le categorie per le quali il modello è stato originariamente pensato, prima del successivo ampliamento. Paola Angeletti, Chief Operating Officer Intesa Sanpaolo, ha commentato: «Le nuove modalità di lavoro introdotte in Intesa Sanpaolo – settimana corta, potenziamento dello smart working e flessibilità di orario, utilizzabili su base volontaria e in combinazione tra loro, a parità di retribuzione – hanno l’obiettivo di mettere le persone in condizioni di svolgere al meglio le proprie attività professionali, conciliandole con le esigenze personali e familiari. Sono parte di un’attenzione al benessere che anticipa il cambiamento di abitudini delle persone, soprattutto le più giovani che si affacciano al mondo del lavoro. In Intesa Sanpaolo ne assumeremo 4.600 entro il 2025».
La proposta di Lavazza è leggermente diversa. Il gruppo ha, infatti, previsto per il proprio personale la possibilità di usufruire del cosiddetto “venerdì breve”: nei mesi compresi tra maggio e settembre, i lavoratori del Centro Direzionale di Settimo Torinese potranno scegliere di terminare la propria giornata in anticipo, sempre a parità di retribuzione. La misura, in vigore per il triennio 2023-2025, si accompagna ad altre stabilite dal marchio, come lo smart working garantito per dieci giorni al mese e un bonus di 700 euro in busta paga per fronteggiare il caro vita. Chiamato a esprimersi sull’iniziativa, Enrico Contini – Chief Human Resources Officer del gruppo – afferma: «Il Welfare ha da sempre avuto un ruolo importante per Lavazza e in coerenza con la Responsability, uno dei nostri quattro valori. La nostra azienda ha una lunga storia di welfare aziendale, partendo dall’organizzazione dei campi estivi e dal conseguimento delle borse di studio per i figli dei dipendenti, iniziative tuttora molto apprezzate, nonostante possano apparire più “tradizionali”. Per il biennio 2023/2024 abbiamo lanciato un programma rinnovato Time to Care, portando avanti un approccio comune anche all’estero, dove si trovano la maggior parte dei nostri collaboratori. Il programma in Italia è basato su 4 aree: il benessere fisico, emotivo, sociale e finanziario. Le priorità e le azioni sono state identificate anche attraverso l’ascolto dei bisogni delle persone. Quello che ci guida è una proposta realmente integrata, capace di coniugare l’offerta retributiva e la formazione con un ambiente di lavoro positivo, in cui trovino forte radicamento valori e politiche di diversity&inclusion, welfare, un corretto bilanciamento tra lavoro e vita privata. I risultati positivi raggiunti dall’azienda negli ultimi anni confermano che non si tratta – per quanto importante – di un valore in sé, ma di un vero e proprio vantaggio competitivo».