«La differenza è che a New York, quando è stato detto alla gente di tornare in ufficio, semplicemente non ci è voluta tornare». Risponde così la scrittrice statunitense Fran Lebowitz a una domanda rivolta dal pubblico durante il suo show al teatro Arcimboldi di Milano, lo scorso aprile, su come sia cambiata la Grande Mela dopo la pandemia. In effetti è così. New York è il simbolo di un divario tra Stati Uniti e il resto del mondo che non sparirà. Secondo il New York Times, ci sono tanti uffici vuoti quasi quanti 27 Empire State Building, ovvero sette milioni di metri quadrati. Tra il 2020 e il 2021, New York ha perso più di 300.000 abitanti, il calo più forte registrato tra le città americane. Ma è il confronto con gli altri Paesi del mondo a fare una certa impressione. Secondo il Wall Street Journal, «il tasso di occupazione negli uffici negli Stati Uniti si attesta tra il 40 e il 60% rispetto ai livelli precedenti alla pandemia, con grandi differenze in base al periodo e alle città. In Europa e Medio Oriente queste percentuali raggiungono il 70-90%». Le cause sono molte, tra cui una mobilità meno efficiente, la probabilità di vivere in grandi case di periferia (più alta a New York rispetto a Hong Kong, per esempio, dove spesso nello stesso appartamento convivono generazioni diverse), il fatto che prima della pandemia in alcune metropoli americane gli uffici fossero già troppi e quindi mezzi vuoti – il che oggi crea ancora di più un effetto deprimente e porta la gente a preferire il restare a casa, dove prova inevitabilmente una sensazione di benessere maggiore.
Gli uffici vuoti e i pendolari assenti non fanno altro che indebolire la ripresa delle città, ma anche di molte aziende che dovranno fare i conti con questi cambiamenti. Cambiamenti che avvengono perché siamo noi a essere cambiati: siamo meno pazienti, cerchiamo certi valori ai quali non siamo più disposti a rinunciare, vogliamo essere noi a dettare le regole del nostro futuro e quindi del nostro lavoro, e non siamo più disposti ad accettare il contrario. In questo numero di LINC abbiamo ascoltato diverse generazioni rispetto ai temi del lavoro, e di certo c’è una cosa che le accomuna tutte: voler essere al centro dell’attenzione, mettersi al primo posto, prendere le redini della rivoluzione tecnologica, combattere per un mondo più inclusivo e sostenibile. La nuova Human Age è ufficialmente iniziata. L’emergenza COVID è finita, ma gli effetti restano, eccome.
*Nell’immagine in evidenza l’illustrazione realizzata da Bianca Bagnarelli per la copertina del nuovo numero di LINC