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Esperti di innovazione

Scritto da Daniela Caputo | 11/07/23 10.09

Intervista a Paola Pisano, già Ministro dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione, Assessore all’innovazione e smart city per il comune di Torino, oggi Professoressa Associata di economia e gestione delle imprese e dell’innovazione all’Università degli Studi di Torino.

Il mondo del lavoro è ormai entrato in una nuova era, caratterizzata dal cambiamento. Quali sono i cambiamenti più rilevanti? Lei è stata Ministro dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione: qual è, secondo lei, il ruolo delle istituzioni nell’affrontarli?

Dal mio punto di vista, il cambiamento maggiore è rappresentato dallo smartworking. Siamo infatti in grado di lavorare risparmiando tempo e risorse, aumentando in maniera significativa la qualità delle nostre vite. Al tempo stesso, però, corriamo il rischio di essere costantemente presenti e disponibili. Questo nuovo ritmo di lavoro e la velocità che ha assunto si scontrano con la capacità che aziende e organizzazioni hanno di programmare, pianificare le proprie attività e strategie. Una seconda trasformazione, invece, è legata all’attenzione che oggi si riserva al genere nei ruoli di responsabilità: dedicare un interesse diverso alla figura della donna all’interno del mondo del lavoro significa interrogarsi anche sulla rete sociale che ne permette l’ingresso e l’avanzamento di carriera. Le istituzioni sono chiamate a regolamentare questi processi, in una maniera che definirei contemporaneamente coraggiosa e cauta: bisogna, quindi, abbracciare il futuro, tutelando e salvaguardando gli individui.

L’ultimo anno ha visto l’emergere di innovazioni potenzialmente decisive per il futuro, come Web 3.0 e Intelligenza Artificiale. Qual è oggi l’approccio delle imprese italiane – soprattutto le PMI – verso l’innovazione?

Credo sia necessario adottare un approccio graduale al tema, che rifugga ogni estremismo, in un senso e nell’altro, perché le tecnologie menzionate sono complesse e di tipo general-purpose, in grado cioè di influenzare interi settori economici, migliorare nel tempo e comportare innovazioni complementari. Seguono, poi, un modello di sviluppo specifico, teorizzato nel 1956 da Robert Solow e graficamente riproducibile nella cosiddetta “curva a J”, che prevede un iniziale rallentamento della produttività a seguito dell’introduzione di una rivoluzione tecnologica, prima di una fase di crescita esponenziale. Le piccole e medie imprese italiane sono in ritardo riguardo a tutti questi aspetti, poiché l’automazione oggi è ancora rigida, e questa mancanza di flessibilità ne rende difficile l’integrazione in tessuti produttivi già esistenti. La trasformazione, tecnologica e digitale, va contestualizzata in maniera organica, non concentrata in singoli progetti o sperimentazioni all’avanguardia.

Un tema importante che segue è quello delle competenze. Serve formare lavoratori attivi nei settori digitali. Come farlo? Quali soluzioni, nel breve e nel lungo termine? Quale il ruolo di scuola e università?

Primaria importanza va assegnata alla formazione continua in università e in azienda, per far sì che le tecnologie vengano non solamente conosciute, ma anche capite e utilizzate nel modo più corretto, rendendo studenti e lavoratori – leader e manager, in primis – padroni di questo immenso patrimonio ed esperti nel navigare tale transizione. Le organizzazioni devono comprendere che non producono più prodotti o servizi, ma prodotti, servizi e dati – data products, in grado di innovare i processi e aumentare i ritorni economici. Similmente, docenti e alunni universitari devono ricevere una preparazione adeguata in questi settori: occorre potenziare lo studio e l’analisi dei dati, e la loro applicazione durante il corso di laurea. Allargando gli orizzonti, l’intero sistema scolastico andrebbe riformulato: servirebbero, infatti, più ore di fisica, matematica, scienze, accanto ai curricula ora presenti. Dobbiamo rendere “tecnici” i ragazzi.

Oggi lei insegna economia e gestione delle imprese e dell’innovazione all’Università degli Studi di Torino: qual è il rapporto delle nuove generazioni con la tecnologia e il digitale, quali temi emergono dal dialogo con i suoi studenti?

Sono curiosi, ma al tempo stesso non riescono ancora ad anticipare determinate svolte nel momento in cui analizziamo le conseguenze dell’adozione di un certo tipo di tecnologia in un dato ambiente. Nelle lauree specialistiche sono altamente preparati dal punto di vista tecnico, ma faticano nella visione organizzativa e strategica che relaziona il mondo delle nuove tecnologie alle aziende.

Le chiedo, quindi, quale sia il suo pensiero riguardo il rapporto tra etica e tecnologia.

A parer mio, la trasparenza – la famosa explainability – dovrebbe essere un diritto degli utenti, soprattutto se un algoritmo prenderà decisioni importanti per il futuro delle persone. Tutto ciò, però, è estremamente difficile, in modo particolare per gli apparati di Intelligenza Artificiale basati sulle reti neurali, il cui sistema, utilizzando in autonomia dati di input e output, si plasma per dare la risposta migliore. Presso il Dipartimento di economia e statistica dell’Università di Torino stiamo studiando come rendere sempre più comprensibili e riproducibili tali algoritmi. Questo rappresenta per noi un punto dirimente in ogni nostra ricerca che utilizza algoritmi di Intelligenza Artificiale.