Crescita demografica e conseguente aumento dell’occupazione sono due degli obiettivi principali che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si prefigge di raggiungere. Le aree di intervento e le implicazioni da tenere in considerazione sono tante e nessun aspetto deve essere trascurato.
Con i guadagni di vita in età sempre più elevate e un ricambio generazionale insufficiente a garantire la stabilità della popolazione da ormai 45 anni, l’Italia è in piena crisi demografica. Quest’ultima si contraddistingue non solo per i numeri coinvolti – con il record storico di meno di 400.000 nati nel 2022 e la triplicazione dei centenari in poco meno di un ventennio –, ma anche per alcune dimensioni che individuano le componenti di maggior fragilità interessate dalla crisi: i giovani e il Mezzogiorno, entrambe questioni contemplate in maniera trasversale dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Qualche numero servirà a rendere chiara la portata della crisi.
La popolazione italiana, oggi di circa 59 milioni di abitanti, perderà 11 milioni di individui fino al 2070 (IISTAT, 2022, variante media). Ciò equivale alla perdita di una regione come la Lombardia, la più popolosa d’Italia. La trasformazione comporterà un’enorme pressione sul finanziamento delle pensioni e del sistema sociosanitario, già oggi in sofferenza, e aggraverà ulteriormente la situazione del debito pubblico italiano. La crisi si caratterizza anche per la rapidità e l’imminenza del cambiamento imposto (Reiter, Goujon e Testa, 2022): la popolazione italiana, infatti, perderà un milione di abitanti già entro il 2030, passando da 58,9 a 57,9 milioni (ISTAT, 2022, variante media di proiezione). La decrescita demografica non interesserà uniformemente i vari segmenti di popolazione, ma vedrà una redistribuzione degli individui per grandi fasce di età. In particolare, si assisterà alla riduzione del peso degli individui in età da lavoro (15-64 anni) dal 63,6% al 61,1%, e alla diminuzione dei giovani (0-14 anni) dal 12,8% all’11,1%, all’aumento degli individui anziani (65 anni e oltre) dal 23,5% al 27,8% (ISTAT, 2022). I due milioni di individui persi tra i presumibili occupati saranno guadagnati da individui verosimilmente in età da pensione, con ricadute sulla sostenibilità del sistema pensionistico, che in Italia è basato sul principio pay-as-you-go – i contributi dei lavoratori occupati finanziano i benefici pensionistici dei ritirati dal lavoro.
L’età non è l’unica variabile che introduce uno squilibrio nei cambiamenti demografici. Un altro importante fattore riguarda il territorio: quest’ultimo, al pari dell’età, è contemplato esplicitamente nel PNRR. La diminuzione della popolazione sarà il risultato di dinamiche molto diverse nelle varie regioni. Il Mezzogiorno, con tassi di fecondità sotto la media nazionale nella maggior parte dei territori e livelli di disoccupazione giovanile più elevati, vedrà in maniera crescente lo spopolamento dei suoi comuni e dovrà rispondere alle trasformazioni imposte dalla transizione verde e digitale partendo da posizioni nettamente più svantaggiate, rispetto al resto del paese. Il Mezzogiorno, con un PIL pro capite pari al 55-58% del Centro Nord, è caratterizzato da un più ridotto capitale umano (22,6% di giovani con elevato titolo di studio, contro il 27,6% del Centro-Nord nel 2021) e condizioni lavorative che scoraggiano i giovani (tasso di occupazione giovanile pari al 45,7%, contro il 72,4% del Centro-Nord nel 2021) e li inducono ad abbandonare il loro territorio di origine. Un simile quadro è aggravato da un importante divario digitale (il 60% circa dei residenti nel Mezzogiorno ha opportunità ridotte di accesso alla banda ultra larga), da una dotazione di infrastrutture di trasporto visibilmente inferiore a quella delle altre ripartizioni, e da una scarsa copertura di servizi per l’infanzia che non facilitano il work-life balance e l’occupazione femminile. Fra il 2011 e il 2020 la popolazione del Mezzogiorno ha perso 642.000 abitanti. Nel 2030 i residenti potrebbero scendere sotto la soglia critica dei 20 milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa quattro volte quella del Centro-Nord (rispettivamente -5,7% e -1,5%). Tale perdita di popolazione si concentra nei più giovani, non solo per i più bassi tassi di fecondità ma anche per il fenomeno degli spostamenti interni (ISTAT, 2023).
Il PNRR si propone di contribuire al riequilibrio dei divari territoriali, sia sul piano della coesione socioeconomica e degli assetti sociodemografici sia che sul piano dell’accesso ai “diritti di cittadinanza”, ovvero nel livello e nella qualità di infrastrutture e servizi alle persone. La riduzione dei divari interessa la performance del sistema produttivo, la qualità del capitale umano, le opportunità lavorative dei giovani e la relativa propensione migratoria. I diritti di cittadinanza riguardano il livello e la qualità delle infrastrutture e dei principali servizi sociosanitari ed educativi – reti digitali, reti idriche, rete ferroviaria, servizi di istruzione, servizi per l’infanzia, servizi sanitari. La direzione intrapresa dunque è quella giusta, si tratterà di capire se e come verranno implementate le diverse misure previste e quali ostacoli emergeranno. Una chiave di lettura e di azione è offerta dalla difficile sostenibilità dei divari territoriali (le cui criticità assumono anche aspetti di marginalità territoriale, le cosiddette “aree interne”), che potrebbe avere forti ricadute sulla struttura demografica della società meridionale, sempre più fragile nelle prospettive future – il vero nodo cruciale della sfida demografica italiana e non solo.