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Il segreto per innovare secondo Simona Maschi? Ripartire dal design per ripensare prodotti, servizi, comunità. Perchè tutto passa dall'ascolto

Scritto da Simona Maschi | 17/12/24 9.04

Ha co-fondato il Copenhagen Institute of Interaction Design, che oggi arriva anche in Italia in uno spazio nel verde all'interno di un ex monastero nato intorno all'anno 1000. Da Astino, nella bergamasca, riparte la sfida di una tra le designer più note al mondo, anima dell’Interaction Design Institute di Ivrea fondato da Olivetti e Telecom Italia quasi venticinque anni fa. Su Linc l’intervento di Simona Maschi sul futuro dell'impresa. Che deve necessariamente partire dall'ascolto attivo.

«Il design oggi è uno strumento non solo utile ma indispensabile per raggiungere futuri rigenerativi»: è questa la frase – pronunciata da Ezio Manzini, uno dei maggiori studiosi italiani e mondiali di design per la sostenibilità, nonché mio professore e mentore, che utilizzo quando voglio descrivere la mia professione, i progetti che quotidianamente porto avanti e la formazione che offro attraverso i vari percorsi accademici. Il termine design, nel suo significato più immediato, rappresenta infatti l’azione del progettare e si può applicare sia ai prodotti che ai servizi. Con l’avvento della digitalizzazione è comparso l’aggettivo interactive, che sta a indicare quindi la progettazione di prodotti e servizi digitali. Questo è ciò di cui mi occupo: sviluppare – prototipare, per meglio dire, ovvero testare nella realtà modelli e soluzioni sperimentali –  tecnologie facili e accessibili per l’utente finale, sia esso un’azienda o un singolo consumatore, considerandone la funzione, di conseguenza la forma e soprattutto la destinazione finale, una volta esaurita la stagione di utilizzo. Da circa 25 anni: da Ivrea, dove per quattro anni, dal 2001 al 2005, ho insegnato presso l’Interaction Design Institute (scuola post lauream fondata dall’iniziativa congiunta degli allora gruppi Olivetti e Telecom Italia), a Copenhagen, dove ho portato avanti quest’esperienza fondando il Copenhagen Institute of Interaction Design, arrivando infine a Bergamo, città che ospita l’espansione italiana della scuola danese, i cui corsi annuali sono cominciati lo scorso settembre, con i prossimi all’attivo dalla primavera 2025. Con l’obiettivo di creare prodotti e servizi rigeneranti per l’ambiente e la società. 

 Un cambio di paradigma 

Se la parola sostenibilità implica la volontà di ridurre al massimo l’impatto che una data attività umana ha sull’ambiente, il sostantivo rigenerazione esprime invece l’impegno a restituire ciò che è stato sottratto alla natura, consegnandole al tempo stesso un beneficio ulteriore. Credo sia questa la direzione che i settori pubblici e privati, le organizzazioni e i cittadini debbano intraprendere: non aggravare la situazione, andando di fatto a sostenere lo status quo, non è più sufficiente; è necessario un cambiamento radicale, che integri nel proprio funzionamento il concetto di restituzione di un surplus

 L’interactive design in questo senso fornisce strategie adeguate: l’Istituto di Copenhagen ha, per esempio, collaborato con la casa automobilistica Volvo per la progettazione di un nuovo SUV, che rispondesse alle esigenze di una specifica categoria di clienti – i nati durante il periodo della cosiddetta one child policy, il programma demografico che limitava a uno il numero di figli per famiglia, norma promossa in Cina a partire dagli anni Ottanta – e che tenesse conto degli elevati livelli di inquinamento delle metropoli del Paese. Il risultato è stato l’inserimento, all’interno dei sistemi di calcolo dei percorsi stradali, di una nuova variabile, accanto alle opzioni “tragitto più veloce” e “tragitto più breve”, ovvero “tragitto più green”. Questo percorso, con un impatto ridotto a livello ambientale, è solitamente anche più lungo, ma l’analisi del consumatore a cui tale soluzione è rivolta ha confermato la bontà della visione: per questo segmento di popolazione, abituato a passare nel traffico per il commuting dalle due alle quattro ore al giorno, il tempo trascorso in auto è prezioso, permette loro di evadere dalla frenesia quotidiana e dal peso mentale che la cura dei genitori comporta. È importante sottolineare come questa innovazione sia stata introdotta nel mercato senza, di fatto, l’impiego di nuovi investimenti o linee produttive: non è stato creato un nuovo SUV, è stato disegnato un nuovo modo di utilizzare quel SUV

 Con IKEA, invece, l’istituto ha programmato una doccia la cui manopola si illumina tre minuti prima del raggiungimento del consumo medio di acqua: il getto non si blocca, è l’utente a decidere se continuare o interrompere l’attività, ma la scelta effettuata è sicuramente consapevole, soprattutto delle conseguenze in termini di utilizzo delle risorse e impatto energetico. L’interactive design, in questo caso, ha contribuito a rendere visibile un certo, specifico dato, aiutando l’individuo a prendere una decisione informata. Molto spesso, nonostante l’interesse a limitare la propria impronta ecologica, è difficile selezionare la strada più corretta da percorrere in termini ambientali, soprattutto nelle più semplici attività quotidiane: avere a disposizione delle informazioni sulle proprie abitudini rende il tutto più immediato. 

 Ciò che accomuna questi esempi è il processo alla base: i team di lavoro si sono confrontati con i rispettivi partner, hanno indagato i comportamenti e le abitudini di consumo dei destinatari finali, hanno immaginato – ancora una volta, prototipato – un’alternativa, facendo sistema. Hanno co-creato. Per mettere in atto la rigenerazione, collaborare, partecipare e condividere sono aspetti essenziali. 

 Il ruolo degli abilitatori tecnologici 

Leonardo da Vinci considerava le invenzioni tecnologiche utili perché in grado di ridurre la fatica umana. Penso che questa definizione valga ancora oggi: le novità in campo tecnologico sono strumenti da impiegare per rigenerare il pianeta, ma anche le persone, consentendo loro di concentrarsi su tutti quei compiti e quelle mansioni che aiutano a evolvere, attraverso l’apprendimento di nuovi concetti. In una parola, rigenerano. L’intelligenza artificiale – categoria che contiene al proprio interno forme diversissime di funzionamento – può intervenire nel tedioso compito di elaborazione dei dati ed estrazione, da questi ultimi, di informazioni. L’individuo potrà quindi trasformare queste informazioni in conoscenza e compiere, di conseguenza, decisioni oculate, orientando così i propri consumi. Sottolineo come nell’ideazione di nuovi prodotti e servizi tecnologici venga sempre di più applicata la biomimesi, Biomimicry in inglese, la disciplina che studia i processi biologici e biomeccanici della natura come fonte di ispirazione per il miglioramento delle attività e delle tecnologie umane. Gli elementi naturali, infatti, sono da sempre resilienti, capaci di rigenerare, non competono, ma cooperano.  

 

 

Simona Maschi è Co-founder e CEO del Copenhagen Institute of Interaction Design. Dopo gli studi presso il Politecnico di Milano, è stata  Visiting scholar presso l’Illinois Institute of Technology, a Chicago.  È stata Professoressa associata e ricercatrice presso l’Interaction Design Institute di Ivrea, fondato da Olivetti e Telecom Italia nel 2001.