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I vantaggi dell’open Innovation

Scritto da Alessandra Luksch | 16/05/24 8.10

luSfide geopolitiche e sistemiche, centralità dell’innovazione, nuovi metodi di collaborazione tra le aziende: sono questi alcuni dei temi al centro di The Exchange, l’Annual Conference di ManpowerGroup promossa per disegnare assieme il futuro del lavoro. Scopri tutte le informazioni qui!

In un mondo in continuo cambiamento l’Open Innovation rappresenta un catalizzatore di trasformazione. È questa l’evidenza emersa dalle Ricerche dell’Osservatorio Startup Thinking del Politecnico di Milano. In un quadro macroeconomico di crisi permanente, con sfide epocali ormai in atto – come la transizione ecologica, le migrazioni dei popoli, l’invecchiamento della popolazione – questo approccio aperto e curioso si è rivelato un prezioso alleato in tempi di incertezza. A partire dall’esperienza maturata durante la pandemia Covid, in cui le aziende hanno vissuto l’urgenza di essere più reattive e rapide nel rispondere alle nuove esigenze emerse dal contesto, questa urgenza si è poi trasformata in una pratica comune, adottata ormai dalla maggior parte delle aziende italiane.

Nel corso degli ultimi anni le imprese italiane hanno attraversato una prima fase in cui l’Open Innovation è stata prevalentemente uno strumento di marketing, comunicazione ed esplorazione, a cui è seguita una fase di maggiore complessità, dove è stata percepita la necessità di avviare un percorso di cambiamento culturale interno e di creazione dell’ecosistema. Questa evoluzione ha portato al raggiungimento di una fase di maggior maturità, in cui l’Open Innovation genera concreto valore di business ed è necessario comprendere come misurare questo impatto.

Le Ricerche dell’Osservatorio Startup Thinking mostrano come dal 2018 non si sia arrestato il trend di diffusione dell’adozione di Open Innovation nelle grandi imprese, con una percentuale del tasso di adozione che è passato dal 57 nel 2018 all’86 misurato nel 2023. Il dato supera il 90 per cento se si considerano solo le grandissime imprese con più di 1000 dipendenti in Italia. Si tratta di un valore vicino a quello internazionale, secondo cui il 95 per cento delle principali imprese negli Stati Uniti, Regno Unito e Germania pratica Open Innovation. Anche le PMI mostrano interesse per il fenomeno e nel 2023 ben il 48 per cento ne ha fatto uso, a testimoniare come l’Open Innovation non sia più solo una moda o un approccio per pochi, ma uno strumento ampiamente diffuso. L’innovazione aperta sembra dunque essere diventata uno dei pilastri strategici per le organizzazioni, che mantengono alta l’attenzione su questo tema a prescindere dalle condizioni al contorno e, anzi, la sfruttano come leva per combattere i contesti avversi. Le imprese che lavorano secondo i principi dell’Open Innovation percepiscono benefici concreti e per questo mantengono alto l’interesse e il tasso di adozione.

In questi anni recenti abbiamo capito che nessuno si salva da solo, così come innovare da soli è sempre più difficile: è necessario creare un ecosistema di attori innovativi con cui collaborare. La creazione di flussi di conoscenza e di condivisione di risorse può amplificare le capacità di innovazione delle imprese. Ci sono esempi importanti di quello che è stato fatto durante il periodo pandemico. Il caso più significativo in Italia si è concretizzato nella realizzazione della valvola Charlotte creata dalla società di ingegneria Isinnova di Cristian Fracassi, con cui le maschere da snorkeling Decathlon sono state trasformate in respiratori per i pazienti Covid. Questo brevetto è stato reso disponibile gratuitamente così da poter stampare in tutto il mondo le valvole tramite tecnologia di stampa 3D. A questo si è aggiunta la donazione di migliaia di maschere da parte della società produttrice, consentendo la cura di migliaia di persone nel mondo.

Pensando alle prossime sfide, secondo l’analisi svolta da IEA (International Energy Agency), ben il 35 per cento delle emissioni di CO2 saranno ridotte, entro il 2070, grazie all’utilizzo di tecnologie che a oggi si trovano ancora nella loro fase embrionale, ovvero di prototipazione e/o dimostrazione. Anche in questo caso nel nostro Paese, che pur non brilla per l’avanguardia degli investimenti in ricerca e sviluppo, esistono casi di eccellenza nati e cresciuti all’ombra dell’Open Innovation. newcleo, fondata nel 2021 da Stefano Buono, è un’eccellenza mondiale nel nucleare: la startup infatti ha ideato dei piccoli reattori di nuova generazione per la produzione di energia pulita, grazie al “riprocessamento” e al riuso del carburante esausto, le famigerate scorie radioattive, secondo i principi dell’economia circolare. newcleo è stata finanziata in netta prevalenza da grandi famiglie imprenditoriali italiane, ed è ora sotto i riflettori degli investitori pubblici francesi su espressa volontà di Manuel Macron.

D-Orbit, fondata da Luca Rossettini e Renato Panesi nel 2011, si occupa di logistica spaziale. Oltre alla pulizia del cosmo dagli oggetti che lo solcano incontrollati, come i satelliti a fine vita, la sua offerta comprende servizi di lancio da terra, movimentazione e posizionamento di satelliti nello spazio con precise operazioni di “space taxi. Questa scaleup italiana è stata selezionata per partecipare al progetto per migliorare le capacità di difesa europea denominato Responsive European Architecture for Space (Reacts) e finanziato dal Fondo europeo per la difesa (FED). Nell’ambito di questa collaborazione, D-Orbit si concentrerà sull’uso di veicoli di trasporto orbitale (Orbital Transfer Vehicle, OTV).

Studiomapp è la startup italiana fondata nel 2015 da Angela Corbari e Leonardo Dal Zovo che monitora cambiamenti climatici e catastrofi naturali grazie all’interpretazione delle immagini satellitari con tecniche di intelligenza artificiale. Applaudita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per i progetti legati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, è oggi riconosciuta dal Pentagono e dall’Onu come una degli “agents of change” per la sicurezza ambientale.

Questo sforzo prodigioso, che traduce l’Open Innovation da teoria a pratica, con casi di eccellenza anche nel nostro Paese, sarà la chiave per affrontare le sfide che sono già del presente: incertezza geopolitica, transizione climatica e demografica, rivoluzione tecnologica. Grazie a questo sforzo le imprese impareranno a “pivotare”, quindi a sperimentare con costanza in modo continuativo per capire velocemente come rispondere ai cambiamenti. Impareranno a lavorare in contesti multidisciplinari, perché l’innovazione è sempre più complessa e nessuna organizzazione ha in sé ormai tutte le competenze e gli asset necessari. Sapranno infine creare ecosistemi e operare con essi, come le startup sanno bene, per sfruttare asset, tecnologie e competenze condivise, per amplificare accelerare e migliorare l’innovazione. Questo sarà d’impulso alla creazione di nuova imprenditorialità come motore per rilanciare crescita e innovazione nelle economie mature, favorire l’occupazione, l’educazione e lo sviluppo.

 

 

È direttore dell’Osservatorio Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano e dell’Osservatorio Startup Intelligence in collaborazione con PoliHub. Ingegnere, ha lavorato per undici anni nella Direzione Sistemi Informativi di importanti gruppi multinazionali occupandosi principalmente di integrazione dei sistemi informativi e di sviluppo di progetti.