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America 2024, sul ring della sfida elettorale il futuro del lavoro è il grande assente

Scritto da Domenico Lombardi and Gabriele Maglio | 25/10/24 11.18

Abbiamo analizzato le proposte elettorali dei due schieramenti alle prese con la consultazione che cambia gli assetti globali.  E abbiamo scoperto che manca una riflessione sul futuro: i partiti tendono a evitare le sfide legate a gig economy, automazione e intelligenza artificiale. L’analisi dell’economista Domenico Lombardi insieme a Gabriele Maglio.

Da sempre la politica americana attira l’attenzione del mondo intero. Di recente, con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali, gli occhi della comunità internazionale sono concentrati a cogliere i dettagli della più atipica e urlata campagna elettorale statunitense. Eppure, le proposte sul lavoro da parte dei due candidati – l’ex Presidente Donald Trump e l’attuale Vicepresidente Kamala Harris – risultano le meno enfatizzate nel dibattito.

Dal 2022 ad oggi l’economia americana ha creato circa 8 milioni di nuovi posti di lavoro. Questo risultato, che implica su base mensile la creazione di nuovi posti generalmente compresi tra le 250,000 e le 500,000 unità, si inserisce in un periodo di forte crescita economica, con un aumento significativo in settori come l’ospitalità, l’educazione e i servizi sanitari, insieme al settore manifatturiero. Nel medesimo periodo, il tasso di disoccupazione è rimasto stabile attorno al 4 per cento, su livelli storicamente assai contenuti. I salari medi orari sono aumentati, ma questa crescita deve essere contestualizzata rispetto al costo della vita che è aumentato in misura considerevole dalla fine della pandemia.

Il Partito Democratico, con Biden prima e Harris dopo, ha delineato una serie di proposte mirate a riformare e rafforzare il mercato del lavoro, concentrandosi su investimenti strategici e politiche lavorative inclusive. In particolare, i Democratici affermano con forza il bisogno di un aumento del salario minimo federale a 15$ l’ora e l’introduzione di misure più robuste per la protezione dei salari. Tale rivendicazione si accompagna alla proposta di rafforzare i diritti di organizzazione e contrattazione collettiva, sottolineando l’importanza dei sindacati nel garantire condizioni di lavoro sicure per tutti i lavoratori. I Democratici, inoltre, puntano ad espandere i programmi di formazione professionale e di apprendistato, con l’obiettivo di preparare la forza lavoro alle esigenze di un’economia globale in rapido cambiamento dominata dall’evoluzione tecnologica.

Sull’altra sponda politica, la piattaforma del Partito Repubblicano offre una visione del mercato del lavoro nel contesto di politiche economiche centrate su deregolamentazione, tagli fiscali e rafforzamento della produzione interna. Trump non fa mistero della volontà di una drastica riduzione delle regolamentazioni che, a suo dire, ostacolano le attività delle imprese e limitano la crescita economica. I Repubblicani sono convinti che minori ostacoli burocratici possano stimolare l’innovazione e l’espansione delle attività commerciali, potenzialmente portando alla creazione di numerosi posti di lavoro aggiuntivi. Inoltre, propongono riduzioni permanenti delle aliquote fiscali per i redditi medio-alti e incentivi fiscali per le imprese che investono in capitale e tecnologia all’interno degli Stati Uniti, con l’obiettivo di aumentare gli investimenti, il consumo privato e – di conseguenza – l’occupazione. In questa visione, non mancano riferimenti agli incentivi specifici per le aziende che producono beni negli Stati Uniti, nel tentativo di rafforzare l'industria nazionale e proteggere i posti di lavoro americani. In altre parole, ci si inserirebbe sulla scia del Tax Cuts and Jobs Act del 2017 (TCJA), riprendendo il discorso dal punto in cui questo si era interrotto.

Una menzione separata va fatta al tema del lavoro e delle politiche sull’immigrazione: com’è noto, il Partito Repubblicano sostiene politiche di immigrazione più severe, anche come strumento di protezione dei lavoratori americani e dei loro salari. I Democratici hanno una postura nei toni più conciliante, tuttavia l’amministrazione Biden si è mossa in grande continuità con quella di Trump su questo fronte.

Nel complesso, se i Democratici propongono un intervento attivo del governo nell’economia attraverso investimenti significativi in infrastrutture e tecnologie, i Repubblicani favoriscono un modello economico che limita fortemente l’intervento statale, promuovendo una maggiore libertà per le imprese attraverso tagli fiscali e deregolamentazione. Se, in materia di politiche del lavoro, i Democratici mettono in evidenza la necessità di migliorare le condizioni di lavoro e i salari attraverso l’aumento del salario minimo e il rafforzamento dei diritti sindacali, i Repubblicani, per parte loro, sottolineano la possibilità di raggiungere obiettivi analoghi con la riduzione dei costi per le imprese. Se, ancora, i Democratici fanno degli investimenti in settori di alta tecnologia e sostenibilità il cavallo di battaglia della prossima economia americana, strizzando l’occhio agli ambientalisti, i Repubblicani spingono sui temi dell’America First, soprattutto con riferimento all’accrescimento della produzione domestica e alla riduzione di ogni forma di dipendenza esterna, non disdegnando – peraltro – il ritorno a mercati di produzione più tradizionali. Da ultimo, in materia di trattamento della forza lavorativa marginalizzata, se i Democratici propongono politiche inclusive che mirano a integrare più massicciamente i lavoratori a basso reddito e le minoranze, i Repubblicani concentrano i loro sforzi sulla creazione di un ecosistema prospero e dinamico destinato ad estendersi a tutti i livelli della forza lavoro.

Le proposte dei candidati si espongono a critiche afferenti non tanto alla sostanza quanto all’approccio complessivo e alla profondità d’analisi delle sfide attuali. I candidati democratici hanno posto molta enfasi sui grandi investimenti necessari per l’attuazione dei loro piani, mostrando delle linee operative che possono essere criticate per il loro eccessivo ottimismo e i costi associati. Vi sono, infatti, preoccupazioni sull’aumento del debito pubblico e l’effettiva attuabilità a lungo termine di tali piani, specialmente in un contesto politico così diviso. Per esempio, è stato paventato il rischio che l’esasperata attenzione all’aumento dei salari e ai diritti sindacali possa disincentivare le aziende dall’assunzione di nuovi dipendenti e dall’espansione delle loro operazioni negli Stati Uniti nel contesto di un’economia che rimane pur sempre globalizzata.

Dall’altro lato, le politiche proposte dai Repubblicani si concentrano su una riduzione della regolamentazione e su tagli fiscali che, sebbene possano stimolare l’economia a breve termine, non affrontano problemi strutturali particolarmente pervasivi nella società americana, come la disparità di reddito e la precarietà del lavoro. In ogni caso, la loro efficacia nel creare posti di lavoro stabili e ben remunerati è comunque oggetto di accese discussioni, anche perché l’assenza di enfasi sul capitale umano e le infrastrutture strategiche potrebbe limitare la crescita economica nel lungo periodo.

Inoltre, le proposte di entrambi i partiti tendono a evitare, nella sostanza, le sfide poste dalla gig economy, dall’automazione e – da ultimo – dall’IA, fenomeni che stanno ridisegnando il panorama del lavoro globale.

Quanto ai lavoratori a basso reddito e alle minoranze, i Democratici, pur avendo mostrato una grossa attenzione a tali temi, non considerano che i tempi di implementazione e l’efficacia reale delle misure da loro proposte rimangono incerte. Per i Repubblicani, d’altro canto, la mancanza di focus su programmi di supporto diretto per i lavoratori meno tutelati può essere vista come una criticità, specialmente in un periodo di crescente disuguaglianza economica.

Insomma, mentre le elezioni presidenziali si avvicinano, emerge chiaramente come entrambi i partiti offrano visioni distinte e, almeno in parte, retoriche sul futuro del mercato del lavoro americano. Tuttavia, un’analisi approfondita delle loro piattaforme elettorali rivela una sfida comune: la difficoltà di trasformare la retorica elettorale in efficaci politiche di governo. Questa dicotomia tra promesse elettorali e azioni concrete si manifesta, da un lato, nel corretto riconoscimento di fattori determinanti per il futuro del lavoro ma, dall’altro, in proposte che rimangono spesso vaghe e incapaci di affrontare alla radice le complessità imposte dai cambiamenti strutturali del nostro tempo.

 

 

Domenico Lombardi è Direttore del Policy Observatory e Professore di Pratica delle Politiche Pubbliche presso la Luiss School of Government.

 

 

 

 

Gabriele Maglio è Research Fellow presso il Policy Observatory, Luiss School of Government.