D«Un consiglio per un imprenditore alla ricerca di “talenti green”? Avere il coraggio di investire nel capitale umano che abbiamo in Italia: facciamo fatica a laureare, ma i bravi ragazzi ci sono e vanno pagati. All’estero ce li rubano». È uno dei messaggi lanciati su transizione green e lavoro da Francesco Corvaro, professore di Fisica Tecnica Industriale all’Università Politecnica delle Marche, inviato speciale per il Cambiamento climatico del Governo, un ruolo coinvolto in occasione della COP 28 – la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – e in questi mesi anche nel contesto del G7 a guida italiana.
Il tema è scottante: il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre, così come l’ultimo febbraio. Gli Accordi di Parigi volti a contenere l’aumento della temperatura a 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale e a raggiungere il Net Zero (emissioni nette zero) entro il 2050 impongono agli Stati di attuare misure cogenti per ripensare i modelli energetici e produttivi. Serve però l’impegno di risorse economiche, naturali, ricerca e sviluppo, infrastrutture e competenze.
Professore, l’umanità ha ancora tempo per una rivoluzione industriale?
Il tempo è l’unica cosa che rischia di mancarci, ma la cosa positiva è che avremmo tutte le tecnologie per affrontare il problema e invertire la rotta – avere cioè un trend della CO2 in discesa. Bisogna accelerare e questa decade sarà fondamentale per centrare gli obiettivi di Parigi. La COP 28 ha sancito però un passaggio rivoluzionario: la neutralità tecnologica. In un mondo sempre più elettrificato, dovremo impiegare tutte le tecnologie per diventare carbon neutral entro il 2050. Anche quelle considerate in antitesi, come il nucleare e le rinnovabili, che dovremo triplicare.
Quando si parla di “accelerare” però, non tutti sono contenti. Pensi alle proteste degli agricoltori.
Ci vuole un presente sostenibile per un futuro sostenibile. L’agricoltura, per esempio, potrebbe essere parte della soluzione, con un approccio di sistema circolare: pensi al fabbisogno di biogas da biomasse che quintuplicherà in pochissimi anni o all’effetto carbon capture del suolo. Questo settore, come altri, va però sostenuto nel percorso di transizione. Si pensi alle cosiddette attività hard to abate, come quella siderurgica, che potrebbe beneficiare degli investimenti in una nuova filiera dell’idrogeno.
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia la transizione ambientale creerà 30 milioni di posti di lavoro nel mondo entro il 2030. Possiamo dormire sonni tranquilli almeno per l’occupazione?
A due condizioni: spingere ancora di più sulla formazione delle future generazioni sui lavori del domani, con un cambio di mentalità verso le nuove professionalità in un’economia di transizione. La digital economy era impensabile nel Duemila, ma il mondo ci ha insegnato che certe rivoluzioni avvengono e portano passi sia positivi sia negativi.
Secondo il report A People-First Green Business Transformation di ManpowerGroup, il 75 per cento delle imprese non riesce a trovare personale qualificato per il settore green. Su quali competenze puntare per il futuro?
La svolta green riguarderà la nostra vita a 360°. Serviranno tutte le professioni tecniche e quelle legate al digitale, a patto di saper gestire la rivoluzione dell’intelligenza artificiale; competenze filosofiche e giuridiche – si pensi infatti ai diritti di sfruttamento delle risorse della space economy. Dovremmo rimettere in piedi il background italiano sul nucleare da fissione e da fusione, che ci aiuterebbe a produrre idrogeno verde. La ricerca chimica potrà fare molto per migliorare l’elettrolisi per l’idrogeno. Bisogna poi investire nella formazione e c’è il settore privato che, per esempio, all’Università Politecnica delle Marche ha finanziato due nuovi corsi di laurea sulla manifattura 4.0 e sulla green transition.
A livello di sistema che cosa servirebbe?
Serve un gioco di squadra per iniziare un percorso serio di infrastrutture che in Italia purtroppo non abbiamo: sia per una crescente elettrificazione, sia per l’adattamento del territorio ai cambiamenti climatici. L’Italia può vincere la sfida grazie alla diversificazione e diventando un hub energetico.
È favorevole al nucleare in Italia?
Non vedo altre possibilità per rispettare l’accordo di Parigi, in ottica di decarbonizzazione totale e sicurezza energetica, viste le richieste attese per l’energia elettrica. Le conclusioni della COP 28 includono rinnovabili, nucleare, idrogeno e la carbon capture and storage (CCS). Quest’ultima tecnologia allungherebbe “la vita” al fossile, come il metano, soprattutto per i settori hard to abate. Ecco, se fosse possibile continuare a utilizzare il gas insieme alla CCS, quando sarà affinata, non ci sarebbe bisogno del nucleare, ma è un rischio.
Cosa direbbe a un giovane di oggi preoccupato per il clima e per il proprio futuro?
Di avere meno ansia, perché le possibilità tecnologiche ci sono e di considerare le opportunità di un percorso diplomatico. I giovani hanno la capacità di lavorare senza barriere e con lungimiranza insieme ai propri coetanei e la diplomazia climatica deve procedere a prescindere da qualsiasi divisione e guerra, con tutti i Paesi del mondo: non esiste un problema che superi ogni barriera più della questione climatica.
Il presente articolo è tratto dall’edizione 2024 di LINC, “Post Realtà”, uscita lo scorso giugno. Scarica il pdf qui.
Giornalista professionista freelance, Daniele Monaco ha collaborato con Ansa, QN-Il Giorno e con Wired Italia. Scrive di economia, digitale e sostenibilità, affiancando uffici stampa e agenzie di comunicazione come copywriter e consulente editoriale sui temi della trasformazione digitale e della transizione ecologica. Ha una laurea di secondo grado in Comunicazione all’Università degli Studi di Milano, città dove risiede e ha conseguito un master in Giornalismo presso l’Università Cattolica.