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Negli ultimi anni, la locuzione smart working, o per i non anglofoni lavoro agile, è entrata sempre di più non solo nel nostro linguaggio comune, ma anche nelle consuete modalità con cui organizziamo la nostra vita lavorativa. Complice la pandemia di Covid-19 e la necessità di imporre il distanziamento sociale, è diventata sempre più diffusa la necessità di usufruire del lavoro da remoto, definito dalla legge 81/2017 che ne stabilisce limiti e regolamentazione. I primi, nel corso della pandemia, hanno subito vari ritocchi, soprattutto in senso estensivo, in seguito si è cercato di ritornare al lavoro in presenza, così come era stato fino a marzo 2020.
La scadenza dell’ultimo Decreto Milleproroghe ha segnato, lo scorso primo aprile, il ritorno al regime ordinario stabilito dalla legge 81/2017, eliminando le ultime agevolazioni previste e rivolte, in via principale, a due categorie di persone: i lavoratori fragili e i genitori con figli under 14. Quali sono, pertanto, le ultime novità in materia?
Smart working e accordo con i datori di lavoro
Una delle modifiche sostanziali che sono state introdotte prevede che lo smart working non rientri più tra i diritti del lavoratore – disciplinato anche da contratti collettivi stipulati con le parti sociali – ma sia frutto di un accordo individuale tra il datore di lavoro e il suo dipendente. Questo comporta che, nel contratto, nella sezione attinente alle modalità di lavoro della prestazione, deve essere esplicitato in che modo e per quanti giorni si possa ricorrere a lavoro agile.
Per tutte quelle aziende che, negli ultimi anni, invece, sono riscorse alla contrattazione collettiva per la regolamentazione dello smart working, è possibile apportare modifiche, anche se l’accordo è a tempo indeterminato, e proporne uno diverso al lavoratore senza che ci sia bisogno di comunicarlo al Ministero del Lavoro. Per quelli a termine, l’imprenditore può decidere, alla scadenza, se rinnovarlo o meno, ma nel primo caso deve informare il Ministero del Lavoro.
Categorie prioritarie? Non più
La legge 81/2017 prevede che vi siano delle categorie che possono richiedere, in via prioritaria, la possibilità di usufruire dello smart working. Tra queste rientrano: i lavoratori con grave disabilità, i caregiver, i lavoratori che hanno figli con al massimo dodici anni di età o con grave disabilità e, di recente, anche coloro che hanno oltre 55 anni. Infatti, grazie a un decreto legislativo approvato qualche mese fa, il datore di lavoro deve favorire l’accesso alle modalità di lavoro agile i cosiddetti “dipendenti anziani”. Nonostante queste specifiche, però, il datore di lavoro è libero di decidere se prevedere o meno, tra le modalità di lavoro della sua azienda, lo smart working. In caso decida di non inserirlo, i dipendenti appartenenti alle già citate categorie, non possono richiedere di avvalersi di questa modalità di lavoro.
La disciplina nella Pubblica Amministrazione
Se per il comparto privato, la data del primo aprile ha marcato un grande cambiamento rispetto al tema smart working, per la Pubblica Amministrazione la scadenza dei vari decreti di proroga era stata fissata al 31 dicembre 2023. Anche in questo caso, come nel privato, è stata data la possibilità al dirigente responsabile, in fase di organizzazione del proprio comparto amministrativo, di scegliere le modalità di lavoro più confacenti per raggiungere i propri scopi e obiettivi. Qualora non ritenga di dover inserire lo smart working tra quest’ultime, il lavoratore non ne potrà fare richiesta.
Tale ratio vale anche per la categoria dei lavoratori fragili che, fino al 31 dicembre, avevano diritto allo smart working integrale. Ora non è più così, ma dall’altro lato, il dirigente ha il dovere di adottare tutte quelle misure idonee a garantire la piena protezione e salvaguardia del lavoratore.
In Italia, così come evidenziano i dati raccolti dall’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2023, sono state oltre tre milioni le persone che hanno scelto (e potuto usufruire) delle modalità di lavoro agile. Una parte corposa di questo dato arriva dalle grandi imprese che, in totale, hanno quasi due milioni di lavoratori in smart working, seguono le micro imprese con 620 mila lavoratori, le piccole e medie imprese con 570 mila lavoratori e infine ci sono le pubbliche amministrazioni con oltre 517 mila lavoratori. Rispetto agli anni precedenti, questi numeri sono in lieve flessione, ma se li si confronta con quelli del periodo pre pandemia, si registra un balzo in avanti del 541%.
Statistiche che, però, vanno inquadrate in un contesto più ampio: lo smart working ha permesso di conciliare in maniera più equilibrata la vita lavorativa e quella privata tanto che, per una fascia di lavoratori molto ampia, quella che va dai 18 ai 34 anni, è prioritario poter lavorare in un’azienda dove è concessa tale possibilità. Sono molte le società internazionali, come AirBnb, Slack, Dropbox o Deloitte, che hanno scelto questa modalità come prevalente, diventando molto attrattive per coloro che cercano un nuovo impiego ma con una migliore qualità della vita.
Albachiara Re è giornalista professionista, collabora da freelance con diverse importanti realtà editoriali italiane e uffici stampa. Negli anni, ha scritto di politica, esteri e cronaca locale, ora si occupa principalmente di cultura, società e sostenibilità. Il suo obiettivo è raccontare storie e persone che aiutino a capire come sta cambiando il mondo.